Mercoledì 14 Novembre 2012 17:44
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Non cambieranno mai

Riproponiamo il nostro articolo del 2010 purtroppo sempre attuale riguardo ai disastri dei giorni scorsi causati da eventi così eccezionali che capitano ogni due anni e dall'idiozia dei nostri amministratori che continuano a incoraggiare la cementificazione del territorio senza ritegno e senza cervello:

 

 

COMUNICATO STAMPA del 05/11/2010

 

In Italia il 70% dei comuni sono ad elevato rischio idrogeologico, sono a rischio di frane o inondazioni. Per capire che questa è la realtà, in effetti, non servirebbero percentuali ed analisi ben precise, perché questa è una convinzione che ognuno di noi ha già, basta accendere una TV per rendersene conto: dal Veneto alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Liguria o Toscana, tutta Italia si alterna in tragedie di fango.

 

Questa situazione è dovuta solo in parte alla peculiare morfologia italiana, perché su questa grava una scellerata azione di governo del territorio: si continuano ad impermeabilizzare fette sempre più ampie di suolo, cementificandolo, le reti di canali e fognarie sono obsolete, si tagliano i fondi per la prevenzione, si tagliano alberi, non vi è una azione di controllo capillare, i corsi d’acqua non vengono puliti e così via. Si interviene solo in situazione di emergenza conclamata, con modalità militaresche, cercando di riparare all’irreparabile. Quello che forse non tutti sanno, è che sarebbe possibile mettere in sicurezza il territorio ed eliminare le situazioni di elevato rischio. Questo ovviamente richiede soldi, molti soldi, ma non così tanti da risultare impossibile.

 

Secondo alcune stime per mettere in sicurezza il rischio frane su tutto il territorio nazionale, occorrerebbe una cifra nell’ordine di 5 miliardi di euro, cioè la metà di quanti se ne stanno stanziando per la nuova autostrada “Romea” (Mestre – Civitavecchia). E allora si capisce che non è una questione di fatalità, che la sfortuna non c’entra nulla, ma è tutta una questione di scelte, di come vengono spesi i soldi, di cosa viene considerato prioritario e di cosa invece no. E’, cioè, una questione puramente politica. Si punta tutto sulle grandi opere, la TAV, il ponte sullo stretto, autostrade, trafori e non rimangono che le briciole per quella rete di interventi che dovrebbe servire da protezione ai cittadini.

 

A questo punto, essendo una questione politica, sarebbe facile - oltreché giusto, ed anzi auspicabile - prendersela con i governi Berlusconi che hanno caratterizzato gli ultimi 10 anni di politica del paese e che ci auguriamo finiscano presto, ma in questo momento abbiamo urgenza di concentrarci sul territorio apuano. Se nelle considerazioni appena fatte si sostituisse la parola “Italia” con “Carrara” e magari “autostrada romea” con “strada dei marmi”, ci renderemmo conto che in casa nostra valgono esattamente le stesse considerazioni fatte per il territorio nazionale, che la politica di gestione del territorio è esattamente la solita, a dispetto del – presunto – diverso schieramento politico. Anche qui si interviene solo dopo l’emergenza, cioè senza una reale pianificazione (e con i rischi che questo comporta) e si punta tutto sulle grandi opere. Metà del bilancio comunale se ne va nella strada dei marmi, decine di milioni per un assurdo impianto di CDR, in un territorio che sta franando verso mare.

 

Non ci sentiamo, in questo momento, di puntare il dito sulle tragedie e quindi ci limitiamo a prendere nota delle centinaia di frane sulle colline ai piedi delle Apuane nello scorso fine settimana, poi del crollo di un palazzo del ‘600 in pieno centro, là dove si stava operando per la “messa in sicurezza” del torrente Carrione (lavori “pianificati” in seguito all’emergenza alluvione del 2003). Ancora della settimana scorsa invece, c’era preoccupazione per le terre depositate ai Ponti di Vara, quindi i paesi a monte che restano a turno tagliati fuori a causa di frane e smottamenti delle vie di accesso, oggi tocca a Colonnata, come è toccato in precedenza a Fontia o Codena, Bergiola, Sorgnano, e via via in un giro di giostra che prima o poi tocca tutti i paesi delle nostre montagne. E al piano le cose non vanno certo meglio.

 

Ricoridamo cosa accadde nel 2003 e ne sanno qualcosa gli abitanti della zona di Battilana o dell’area tra via Monzone e via Bassa a Marina, dove ogni due ore di pioggia si alluvionano cantine e garage, i giardini si trasformano in laghetti e dove nonostante la rete fognaria fosse già da decenni palesemente inadeguata: è proprio lì che si è maggiormente insistito con nuove costruzioni di palazzine in questi ultimissimi anni, caricando ulteriormente la rete e rendendo ancora più impermeabile il suolo. Mettere in sicurezza le zone di frana, costruire strade sicure, adeguare la reti fognarie, monitorare torrenti e canali, tenere puliti gli alvei, creare bacini di sfogo e soprattutto pianificare questi interventi in modo da poter lavorare in situazioni di sicurezza e prima delle emergenze, lo sappiamo tutti, costa.

 

Quello che ci chiediamo è come mai ai piedi delle Apuane per queste cose i soldi mancano sempre, ma i finanziamenti per waterfront, impianti di cdr, porti, gallerie, scale mobili e assurdi trafori si trovano sempre? Il problema, lo ribadiamo, è tutto politico. Di conseguenza l’unica soluzione possibile è che sia chiamata alle proprie responsabilità questa classe politica, indistintamente dal colore perché – con i loro caschi e giubbotti gialli della protezione civile sui luoghi dei disastri - è indistinguibile nelle azioni, e che i cittadini riprendano il controllo diretto della gestione dei beni comuni e del territorio, senza l’intermediazione di quei centri di potere che oggi chiamiamo partiti.

 

Meetup Carrara

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